ASCARI: UN RACCONTO DI VITA, MORTE E RINASCITA IN "ITALIEN*" - INTERVISTA

É uscito lo scorso maggio per Gelo Dischi il nuovo album, primo full length, di Ascari, dal titolo "Italien*", un concept album, un viaggio sonoro all’interno di dieci tracce strumentali e cantate collegate fra loro dal tema dell’alienazione, dell’appartenenza e della non-appartenenza. Il titolo stesso presenta un quadruplo livello semantico e di significato: il gioco di parole tra “italiano” ed “alieno” (da cui la crasi “italieno”), che racchiude il senso di sentirsi smarriti nella propria cultura di riferimento; l’asterisco che neutralizza il termine e lo assurge ad un genere universale, introducendo così il concetto di smarrimento all’interno del binarismo di genere espresso dalla lingua italiana.
Noi abbiamo intervistato l'artista indagando sulla sua anima itinerante, ed ecco com’è andata.
Reggio Emilia, Venezia, Bologna, Roma, Londra e Firenze. Tantissime città. Ne hai trovata una che ritieni di poter chiamare casa?
C’è un pezzo di cuore in ogni città, frase banalissima ma vera, senz’altro quelle che continuano a segnare il mio orizzonte maggiormente sono Bologna e Roma, una più per gli affetti e i ricordi, nonché mia residenza formalmente, l’altra più per l’orizzonte lavorativo legato al mondo del cinema e perché ho lì una parte della mia famiglia a cui voglio molto bene.
In che modo La Tarma, il tuo progetto musicale precedente, e Ascari, comunicano?
Inizialmente la trasmigrazione da un progetto all’altro è stata piuttosto scomoda, quasi ingombrante: avevo costantemente la sensazione di farmi un autogol clamoroso lasciandomi alle spalle quel poco di carriera già consolidata sotto quel progetto. Col senno di poi, penso di aver fatto bene: con l’attuale progetto ho fatto tabula rasa delle forme che mi legavano necessariamente e solamente alla scena synth pop, permettendomi fin dalle premesse di spaziare anche in altri generi musicali e di non avere un limite fra la produzione pop e quella, ad esempio, legata alla produzione di colonne sonore. Ora i due progetti comunicano tranquillamente come lo scorrere del tempo, il trait d’union sono senza dubbio la mia voce e la mia autorialità.
Francesco Bianconi dei Baustelle è presente nel tuo disco, e sei anche reduce da un tour con lui. Com’è andata? Che cosa pensi vi possa unire musicalmente e umanamente? Qualcosa che, magari inaspettatamente, hai assorbito da lui?
Francesco Bianconi e i Baustelle per me sono dei mostri sacri, la musica italiana con cui sono cresciuto, al pari di Franco Battiato, per cui lavorare accanto a lui è stata per me un’opportunità di crescita artistica e umana eccezionale. La stima che avevo di lui musicalmente si è riflessa anche in quello che ho potuto conoscere di lui come persona: una persona gentile, sensibile, di intelligenza e delicatezza rare.
Hai mai difficoltà di comunicazione, per l’utilizzo dei pronomi e simili, quando devi raccontarti e raccontare il tuo progetto all’esterno?
Ti ringrazio per aver sollevato la domanda. In realtà sì, non difficoltà insormontabili per fortuna, ma ho capito che la maggior parte delle persone non è abituata ad avere a che fare con persone non necessariamente cisgender (cisgender è quando ti riconosci nel genere assegnato alla nascita, altrimenti si utilizza il temine transgender), e molti appena entrano in contatto con un’espressione di genere queer, o comunque non conforme, entrano in crisi, si sentono in imbarazzo, come se finissero al banco degli imputati. Ma è importante tenere presente che non c’è nessun processo penale in corso. Il poter lavorare sulla comunicazione di questo album e del mio percorso artistico in realtà mi ha aiutato molto e, nonostante a volte alcune difficoltà iniziali, c’è sempre stata accoglienza da parte degli interlocutori, che magari hanno potuto ampliare la loro esperienza grazie all’incontro con una realtà diversa dalla loro. Lo scoglio maggiore lo trovo nella vita di tutti i giorni, quando mi interfaccio con persone che non mi conoscono e che automaticamente mi incasellano in un genere che sento non rappresentarmi pienamente, per cui bisogna avere molta pazienza e spiegare gentilmente le proprie esigenze, oppure, quando proprio non ne vale la pena o manca il tempo, lasciar correre, anche se questa seconda opzione lascia sempre l’amaro in bocca.
Ci sei riuscito, ad essere fuori da ogni classificazione?
Per il momento credo di sì, ma se mi classificassero sarei comunque felice. Potrei avere finalmente un posto in un museo, in una teca magari, assieme a dei minerali.